lunedì 20 ottobre 2014

Genova : il Bisagno nel 1637







A proposito di alluvioni.... siamo andati a vedere come era il Bisagno prima della cementificazione del suo alveo ed abbiamo trovato questo bel disegno eseguito da A. Baratta nel 1637, per il quale dobbiamo ringraziare il sig. Marco Capurro e la sua raccolta di mappe antiche disponibili in rete http://digilander.libero.it/capurromrc/mappegen.html .





Come si può vedere dall'immagine, il ponte di Sant'Agata arrivava direttamente al borgo omonimo e le aree delle odierne corso Galliera, piazza Manzoni, piazza Giusti, corso Sardegna e la prima parte di via Giacometti facevano parte del corso normale del fiume.  Inoltre c'era una ulteriore grande area ortiva e scarsamente abitata che poteva consentire al torrente di esondare in condizioni di piene eccezionali, che avvenivano allora, così come avvengono nei tempi attuali.

Quest'area esondabile, essendo molto ampia, praticamente pianeggiante, e scarsamente edificata, in caso di alluvione permetteva all'acqua di espandersi nella piana mantenendo un basso livello ed  una bassa velocità.

Oggi, al contrario, l'alveo ristretto, e la mancanza di un'area esondabile amplificano il problema, velocizzando il flusso delle acque e la loro forza distruttiva.

Sulla sinistra dell'immagine vediamo che la città era difesa, anche dalle alluvioni, dalla cinta  di mura e dalla speciale conformazione delle Fronti Basse, che "rompevano" il flusso delle acque rallentandone la furia distruttiva su quel lato.
   

In alto il ponte di S.Agata con l'omonimo monastero e il borgo.

Più in basso il ponte Pila porta al borgo di Santa Zita che vediamo arretrato rispetto al borgo di S.Agata per permettere inalterata la larghezza dell'alveo fluviale.

Alla foce, il Lazzaretto stona nel panorama agreste ma evidentemente il torrente esondava prima di raggiungerlo e il flusso residuo non costituiva un pericolo per l'edificio che era completamente circondato da solide mura

Nell'immagine che segue abbiamo ingrandito la parte relativa al basso corso del Bisagno per mostrare meglio i dettagli.






La situazione rimase immutata fino alla seconda metà del 1800.  Il Bisagno straripava innondando la piana, ed ogni tanto tirava giù un ponte come nel 1822 in occasione del "diluvio di san Crispino.

1822 distruzione del ponte Pila - Luigi Garibbo da La Valbisagno ed. Stringa-

Ma la memoria della gente, notoriamente è corta, e meno di 50 anni dopo si progettava di restringere gli argini ad 1/3 della portata massima del torrente e costruire sulle spianate così ricavate.

Via Libertà prog.Pellas 1863 - da ALBARO E LA FOCE di  R.Luccardini  SAGEP  edit.


E, quando venne fatta la copertura i nuovi argini e buona parte delle costruzioni c'erano già e la copertura era stata fatta in modo da lasciare al torrente la stessa "luce" che aveva il Ponte Pila all'epoca. (ovvero 500 mc/sec)

1928 Ponte Pila e costruzione della copertura del Bisagno.



La cementificazione selvaggia delle colline, avvenuta nell'ultimo  dopoguerra, ha aggravato ulteriormente il problema annullando l'assorbimento delle acque piovane sulle pendici delle colline ed accelerando la discesa delle acque piovane a valle.

Qui, da uno studio internazionale, l'alluvione del 1822 e quella del 1970 messe a confronto:





"C'era una volta Genova", con la sua valle del Bisagno fertile ed ubertosa. Quella valle é cambiata ma il suo torrente, dalle piene improvvise e selvagge, é sempre lo stesso  e bisogna tenerne conto.

Date le premesse dubitiamo che il progettato "scolmatore del Bisagno", insieme al già realizzato "scolmatore del Fereggiano",  possano definitivamente risolvere i problemi causati da due secoli di edificazione sconsiderata ed irresponsabile.

2019 - scolmaore del Fereggiano


Gli scolmatori potranno senza dubbio essere d'aiuto nella maggioranza dei casi, ma siamo convinti che, in presenza di una vera alluvione, (con più di 1200 mc/sec), il fiume tornerà a riprendersi il suo alveo antico,  riempiendo strade, garages e cantine di viscido fango.



Bisognerà quindi alzare il livello di guardia (e di prudenza da parte di tutti i residenti nelle zone a rischio) per evitare danni gravi e sopratutto la perdita di ulteriori vite umane.



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